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Il benessere dei minori stranieri non accompagnati

Molti minori sono costretti a fuggire dal proprio Paese per cercare sicurezza in un Paese più sicuro, senza un genitore o un adulto di riferimento. Come può la scuola lavorare per garantire il loro benessere?

L’adolescenza è una fase importante di sviluppo in cui i giovani si trovano ad affrontare sfide complesse, come diventare indipendenti e definire la propria identità. Queste sfide riguardano anche i minori non accompagnati. Alcuni di questi compiti, tuttavia, sono più complicati per loro in assenza dei genitori o della famiglia: instaurare e mantenere amicizie o il lavoro, fare un progetto sul proprio futuro in una nuova società diventano compiti più ardui. La formazione dell’identità è complicata dalla mancanza di modelli di riferimento. Inoltre, sebbene molti giovani non accompagnati abbiano dato prova di grande autonomia durante la fuga, è difficile far combaciare queste competenze specifiche con le numerose regole e normative con cui devono confrontarsi nel Paese ospitante.

Sebbene la fase adolescenziale sia costituita da alcuni fenomeni universali, come i cambiamenti biologici, norme e contesti culturali diversi plasmano la vita dei giovani durante la fase dell’adolescenza e dell’età adulta emergente. Ad esempio, spesso questi giovani provengono da una cultura familiare allargata, il che significa che la famiglia ha una grande influenza sul processo decisionale. In molti Paesi dell’Europa, invece, agli adolescenti viene chiesto di prendere decisioni autonome, di plasmare la propria vita in modo indipendente e di fare scelte finalizzate al proprio sviluppo individuale. Questo contrasto crea un onere aggiuntivo per questi giovani. Essi non solo devono ricostruire la propria vita in un paese nuovo e sconosciuto, con una cultura e una lingua diverse e senza la presenza dei genitori, della famiglia e di altre persone care, ma devono farlo anche durante un’importante fase di sviluppo.

La presenza della famiglia nonostante l’assenza

Contrariamente a quanto si crede, in molti casi almeno un genitore del giovane non accompagnati è ancora vivo. Se i giovani non accompagnati hanno contatti con la famiglia, di solito ne ricevono buon sostegno. Le forti aspettative della famiglia motivano i giovani a costruire la loro (nuova) vita, ma possono essere vissute anche come un peso, specialmente se il giovane sente di non riuscire a corrispondere alle aspettative di successo della famiglia di origine. 

Molti possono essere i motivi di questa pressione: l’aver contratto ingenti debiti per pagare il viaggio, l’idea che il ricongiungimento familiare sia automatico e possa avvicinare i vari membri del gruppo familiare. Le richieste implicite ed esplicite della famiglia possono quindi avere una grande influenza. Il mancato rispetto di esse può causare dolore, senso di colpa, vergogna, rabbia o problemi psicologici.

La scuola

Il primo periodo di permanenza nel Paese ospitante è cruciale per il benessere e l’integrazione. Andare a scuola è un compito importante in questo senso. Attraverso l’istruzione, i giovani non accompagnati possono sperimentare nuovamente la normalità della vita quotidiana e lavorare sulle aspirazioni e sulle prospettive future. La routine quotidiana, il senso di scopo e di direzione nella vita e i contatti con i coetanei aumentano la fiducia in se stessi e il benessere. Il senso di appartenenza e la sicurezza a scuola riducono il rischio di sintomi post-traumatici come depressione e ansia.

Sfide educative

I giovani non accompagnati hanno spesso perso anni di istruzione nel Paese d’origine a causa di condizioni varie come la guerra o la permanenza nei campi profughi. Molte scuole segnalano che i giovani non accompagnati, più spesso di quelli con i genitori, sono assenti da scuola. L’assenza di sostegno e motivazione da parte dei genitori gioca probabilmente un ruolo in questo senso. Anche le preoccupazioni che i giovani non accompagnati nutrono nei confronti della famiglia e della loro richiesta di ricongiungimento familiare possono avere un ruolo. La loro posizione di partenza nell’istruzione, come quella di altri giovani fuggiti dai loro Paesi d’origine in età di scuola secondaria, non è favorevole. Qualche volta raggiungono il nostro Paese analfabeti. Molto più spesso sono “diversamente alfabetizzati”, cioè attraverso un alfabeto non latino.

Rispetto all’istruzione, anche le differenze sociali e culturali giocano un ruolo importante. In molte culture da cui provengono i giovani non accompagnati valori come il rispetto e la pazienza sono molto importanti, mentre nei Paesi europei si attribuisce molto più valore all’assertività. Per esempio, in molti Paesi d’origine gli studenti non fanno domande agli insegnanti, perché nella loro cultura è considerato maleducato. Questo è totalmente diverso dalla situazione nei Paesi dell’Europa, dove le discussioni con gli insegnanti sono incoraggiate.

Benessere e salute mentale

I minori separati precocemente dalle loro famiglie sono spesso incerti sul loro futuro e possono aver vissuto eventi traumatici. All’arrivo, possono mostrarsi diffidenti. Questa sfiducia è stata funzionale durante il viaggio, quando erano esposti al rischio di inganni, furti, stupri e violenze estreme. Proprio per questo motivo guadagnarsi la loro fiducia è essenziale. Molti giovani hanno grandi aspettative per il loro futuro al momento dell’arrivo, che mirano al successo che si aspetta la famiglia, contribuendo così all’onore e al benessere di tutti i familiari. Il mancato rispetto di queste aspettative può causare ulteriore stress, dolore, senso di colpa, vergogna, rabbia o problemi psicologici. Questo può accadere quando ancora le prospettive sul futuro sono incerte perché non hanno un permesso di soggiorno o strutture di supporto adeguate. Inoltre, sentendo di non poter aiutare a sufficienza i loro familiari, rischiano di essere pervasi da sentimenti di impotenza. Per questo i minori non accompagnati mostrano, nei Paesi di accoglienza, un maggiore rischio di problemi di salute mentale rispetto agli altri rifugiati e ai bambini con un background migratorio. A volte, anche a distanza di anni dall’ottenimento del permesso di soggiorno, lottano con problemi di salute mentale come depressione e ansia. La maggior parte di loro ha bisogno di aiuto psicologico, mentre solo una minoranza lo riceve effettivamente.

Se i problemi psicologici interferiscono seriamente con il funzionamento quotidiano, può essere necessario rivolgersi al sistema di salute mentale. Tuttavia, spesso, questo non funziona bene. Le cause possono essere una scarsa familiarità con i servizi di salute mentale, o il tabù che circonda i problemi di salute mentale e la paura dello stigma. Anche tra i rifugiati adulti c’è un sottoutilizzo dei servizi di salute mentale. Ciò è dovuto anche al fatto che le cure offerte non sono sempre bene integrate. Inoltre, alcuni studi dimostrano che anche nei luoghi della salute mentale ci sono comportamenti di discriminazione e stigmatizzazione che rendono problematico l’accesso a cure efficaci.

Facilitare la salute e il benessere

Nonostante i problemi e le sfide sopra menzionate, è importante rendersi conto che i giovani non accompagnati sono giovani e resistenti e la loro salute fisica è relativamente buona. I fattori che hanno un effetto positivo sulla salute (anche mentale) sono: essere in grado di riprendere il prima possibile una vita normale con una prospettiva di lavoro, istruzione o altre forme di partecipazione, avere un sostegno sociale e reti sufficientemente sviluppate, chiarezza sulla residenza e vicinanza a parenti stretti. I meccanismi di coping spesso utilizzati includono l’interazione e il sostegno dei coetanei e l’interazione con la propria istituzione religiosa. La soluzione migliore è quella di combinare il rafforzamento del sostegno sociale e l’aumento della resilienza con l’offerta di un’adeguata assistenza sensibile al trauma (quando necessario). La continuità dell’assistenza sanitaria (anche mentale) (se necessaria) ma anche la continuità dell’istruzione rafforzano la resilienza. Inoltre, il collegamento tra la propria e la nuova cultura, la cosiddetta “integrazione”, è la strategia di maggior successo secondo molti ricercatori.

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